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Autismo: l'importanza della diagnosi precoce e l'inclusione nei LEA

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L'intervento terapeutico dovrebbe avvenire il prima possibile, importante la sorveglianza attiva nei primi due anni di vita

Spesso il cinema ha aiutato ad accendere i riflettori su importanti tematiche di valore sociale e sanitario.

In questi giorni, è accaduto con “Life animated”, il documentario di Roger Ross Williams candidato agli Oscar che racconta la storia di Owen Suskind, un ragazzo autistico di 23 anni che tramite i film Disney è riuscito a trovare un modo per interagire con il mondo esterno.

Il film racconta la scoperta della sindrome, la sofferenza dei genitori, la battaglia del ragazzo e della sua famiglia per affrontarla e ottenere risultati.

Un film che sensibilizza su una tematica non solo sanitaria ma anche sociale, in quanto l’autismo è oggi ancora una realtà legata a pregiudizi e luoghi comuni.

"Autism Europe", l'associazione europea che si occupa di autismo, nel 2016 ha scelto, non a caso, lo slogan 'Rispetto, Accettazione, Inclusione', che richiama direttamente la preoccupazione delle Associazioni di genitori per l'impegno ancora insufficiente da parte dei governi dei Paesi Europei nella presa in carico delle persone con Disturbi dello Spettro Autistico.

In Italia, negli ultimi due anni è stato fatto un passo in avanti.

Nel 2015 è stata approvata la prima legge nazionale sull’autismo: Legge18 agosto 2015, n. 134(Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie).

E a gennaio 2017, l’autismo è entrato a pieno titolo nei nuovi Lea (Livelli essenziali di assistenza).

Si parla di “diagnosi precoce, cura e trattamento individualizzato, integrazione nella vita sociale e sostegno per le famiglie”, con un esplicito riferimento all’art.

60 della L.134/2015.

Cos’è l’autismo L'autismo secondo l'Oms colpisce un bimbo ogni 160.

Secondo i dati dell'Istituto Superiore di Sanità, oggi si stima che in Italia una prevalenza attendibile del disturbo sia di circa quattro su mille bambini e che  colpisca, per ragioni ignote, i maschi 3 o 4 volte più delle femmine.

Con il termine “Autismo” vengono comunemente definite alcune sindromi di natura neurobiologica raggruppate sotto la categoria dei “Disturbi dello spettro autistico” (ASD).

Nei primi anni di vita del bambino i segnali indicatori di autismo si manifestano molto più spesso come assenza di quei comportamenti tipici delle tappe evolutive nel percorso di sviluppo (dall’assenza di sorriso sociale e lallazione alla mancanza di comunicazione, come non rispondere se chiamati, non salutare…).

I possibili sintomi di autismo nei bambini dai 2 anni in poi riguardano principalmente i deficit nelle abilità sociali, linguistiche e comunicative (verbale e non) e comportamenti stereotipati: la presenza dello sguardo laterale (la difficoltà a prendere lo sguardo di chi parla), il movimento di mani e piedi in modo a-finalistico (movimenti senza scopo apparente), la ripetitività dell’esecuzione di alcune attività.

Si tratta comunque di una diagnosi complessa, che deve essere praticata da personale esperto, anche nei casi più lievi, e che richiede risposte assistenziali mirate.

Esistono, infatti, strumenti, scale di valutazione, precisi indicatori per rilevare e diagnosticare la sindrome di Autismo.

La diagnosi prima dei 2 anni di vita Due fattori di grande importanza nelle terapie contro questo disturbo sono il coinvolgimento delle famiglie e un’equipe di neuropsichiatri, psicologi, logopedisti, fisioterapisti, assistenti sociali, educatori professionali esperti e capaci.

Più la diagnosi è precoce e meglio si riesce ad intervenire.

Tanto che, già nel 2011, l’Istituto Superiore di Sanità aveva lanciato un progetto per il riconoscimento tempestivo di disturbi dell’età evolutiva.

Sono state monitorate le donne incinta e poi si è proseguito fino ai due anni di età del bambino con l’obiettivo di individuare bambini con questo disturbo prima del secondo anno di età e inserirli da subito in un programma terapeutico personalizzato.

Uno dei grandi problemi secondo gli esperti è, infatti, che, nella maggior parte dei casi, la diagnosi arriva tardi, dopo i due anni di età, e ciò renderebbe meno efficaci le possibili terapie.

Tanto che l’intervento terapeutico riabilitativo dovrebbe poter partire già dal diciottesimo mese di vita, in quanto interventi frequenti e tempestivi durante le prime fasi di sviluppo sono l’unico modo per incidere positivamente sull’evoluzione della malattia.

In questo contesto, entrano in gioco i pediatri per ridurre l'età della prima diagnosi con una sorveglianza attiva dello sviluppo attraverso strumenti di screening all'età di 18 e 24 mesi.

In generale l’intervento riabilitativo proposto è individuale in base alla diagnosi, alle difficoltà cognitive, emozionali e comportamentali riscontrate.

Si va da interventi educativi per aumentare l’efficacia dei comportamenti a percorsi per potenziare le capacità di linguaggio.

Secondo diversi studi (fonte ISS), è emerso che gli adattamenti dell’ambiente fisico e sociale possono migliorare il benessere delle persone con autismo (viene per esempio consigliato di ridurre la complessità degli ambienti e delle interazioni sociali, di utilizzare attività con uno schema a routine scandendo le attività attraverso degli orari prefissati, di utilizzare tecniche di aiuto e di minimizzare il sovraccarico sensoriale).

Infine, un aspetto molto importante, emerso dall’esperienza in campo terapeutico e dalla ricerca clinica, è il ruolo positivo dei familiari nell’intervento terapeutico con il coinvolgimento nel programma educativo dopo un ‘adeguata formazione.

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